Da diversi anni, ed in particolare negli ultimi mesi, media, convegni, associazioni parlano continuamente del fenomeno crescente dello smartworking e di tutti i vantaggi indotti da questo nuovo modo di fare lavoro.

Sicuramente l’obiettivo della diffusione mediatica è stato pienamente raggiunto: un recente studio condotto dalla ISTUD, la business school italiana, ha rilevato che il 91% del campione intervistato ha confermato di conoscere il significato di smartworking e, per 3 intervistati su 4, questo modello ha lo scopo primario di migliorare la conciliazione tra il lavoro e la vita privata.

Nonostante quindi lo smartworking sia un termine utilizzato su larga scala, ci sono molti dubbi e paure tipicamente dovute ad una mentalità ancora legata ai modelli tradizionali e da una esperienza di applicazione ancora piuttosto immatura. Di seguito proviamo a fare chiarezza su alcuni dei più diffusi.

  • Smartworking è sinonimo di telelavoro

Purtroppo ancora molto spesso si fa confusione sui termini e questo costituisce uno dei motivi per cui c’è molta diffidenza nell’applicazione di questo modello.

I due termini sono tra loro connessi, nella misura in cui smartworking si definisca come evoluzione naturale del telelavoro, che non è altro che la remotizzazione di una postazione di lavoro all’interno dell’abitazione del dipendente, mansione permettendo.

Lo smartworking include in se concetti ben  più ampi rispetto alla remotizzazione che ne permettono l’applicazione di qualsiasi settore o mansione. Fare smartworking vuol dire infatti applicare un modello nuovo di fare lavoro, svincolato dal concetto di tempo e da una particolare sede fisica che quindi può sia coincidere con l’abitazione del dipendente ma spaziare in altri scenari quali spazi di co-working o anche sfruttare in modo diverso e smart lo spazio aziendale ad esempio con attività di desk-sharing.

 

  • E’ difficile controllare uno smartworker, che quindi è libero di fare ciò che vuole.

Si pensa che lo smartworker possa approfittare della situazione di flessibilità risultando in una scarsa aderenza agli obiettivi fissati. Nell’immaginario comune il lavoratore che svolge la sua attività nella sua abitazione sia circondato di minacce che lo portano inesorabilmente lontano dal lavoro: la tripletta divano, tv e frigorifero magari con della birra fresca per completare il quadro alla Simpson.

Tralasciando il fatto che anche il lavoro in ufficio presenta non poche distrazioni (social, macchinetta del caffè, ecc) la mancanza di controllo dell’operato può accadere solo nel caso il progetto di smartworking non sia centrato sulla definizione degli obiettivi, cuore pulsante di questo modello. Ma soprattutto se ci si concentra solamente sul tema del controllo, forse non si è ancora pronti a fare smartworking.

 

  • Lo smartworking non permette la diffusione dello spirito aziendale creando isolamento.

Purtroppo questo non è altro che il frutto di una cultura ancora non matura ma soprattutto, ancora una volta, dell’uso improprio dei termini che portano a pensare che si possa fare smartwotking solo da casa, cosa assolutamente lontana dalla verità.
Inoltre un programma ben impostato di remote working, non esclude a priori la possibilità di alternare a periodi/giorni di smartworking a momenti in cui il dipendente lavori da casa, cogliendo l’opportunità per svolgere in quei periodi attività di formazione/aggiornamento e quanto è necessario a tenere saldo il gruppo di lavoro. Nel caso si utilizzasse la modalità di co-working è possibile inoltre personalizzare lo spazio a disposizione con loghi, colori che ricreano il mood aziendale anche al di fuori delle sedi ufficiali.

 

  • Lo smartworking è solo questione di cultura. La tecnologia è un accessorio secondario

Anche questa affermazione non è totalmente corretta. Sebbene la cultura manageriale è sicuramente importante e costituisce un elemento imprescindibile, la tecnologia spesso considerata una pura commodity costituisce, nello smartworking, un pilastro fondamentale per la buona riuscita del progetto. Aldilà dello svolgimento puro della mansione attraverso gli strumenti informatici, non si può fare a meno di comunicare e condividere in entrambe le direzioni affinché le attività di dipendenti e collaboratori trovino il corretto allineamento che porti al raggiungimento del risultato aziendale, la vera anima dello smartworking.

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Giuseppe Arduino

Informatico per natura (e cognome), ingegnere per studio e commerciale per vocazione, aiuto le aziende a concentrarsi sul proprio business attraverso la filiera tecnologica Nextip e le soluzioni di smartworking dedicate al mondo dei contact center. Ogni settimana condivido risorse e webinar sul nostro canale Telegram: Nextip2010