Nella riflessione fatta nell’ultimo articolo “Smartworking tra paure ed inadeguatezza” è stato evidenziato come il fare smartworking non sia indotto solo da un cambio di mentalità (sebbene sia fondamentale), ma voglia dire anche acquisire nuove abilità e capacità sia nelle vesti di datore di lavoro che di lavoratore, andando a delineare due nuove figure professionali che potremmo definire come “smartworker” e “smart manager”; due profili che costituiscono le due facce della medaglia smartworking, figure cioè che devono co-esistere completandosi a vicenda per la riuscita di un progetto orientato alla flessibilità.

Proviamo di seguito a delineare i tratti più significativi dei profili di queste due nuove figure professionali.

SMARTMANAGER

Come si direbbe oggi, il manager 2.0: colui che concilia le abilità di leadership tipiche di questa figura con una serie di abilità necessarie a pianificare, verificare ed a rendere di successo un piano di smartworking.
Perché come ogni progetto di successo che si rispetti, è necessaria una pianificazione della attività e soprattutto la definizione di indicatori: non si può controllare quello che non si riesce a misurare.

Le principali abilità quindi da acquisire rispetto ad un classico manager sono:

  • Dare Fiducia: Fattore abilitante e determinante. Non si può cominciare nemmeno a progettare lo smart working se il manager o l’imprenditore non nutre fiducia nei propri collaboratori e non concede loro la possibilità di responsabilizzarsi, cosa che può avvenire solo sul campo.
    Lo smartmanager deve uscire dal concetto di controllo visivo e dall’alibi del “poi il dipendente se ne approfitta”, uno dei più diffusi falsi miti in cui ci si rifugia quando non si è capaci di adottarlo.
  • Capacità di ragionare per obiettivi: skill che si può pensare possa essere scontato e superato, ma che purtroppo si rivela ancora una lacuna attuale e collegata al principio della fiducia: ci si deve mettere nell’ottica che gli indicatori da misurare e monitorare insieme ai propri collaboratori non sono più basati sulla presenza fisica ed il tempo passato nella scrivania di fronte alla propria, ma ragionare piuttosto per obietti da raggiungere, qualità che migliora anche la performance del gruppo di lavoro e dell’intera azienda.
  • Coinvolgimento dei collaboratori: Lo smartworking insegna a ragionare come una squadra, un percorso di evoluzione dello stile di leadership che porta al coinvolgimento attivo del proprio gruppo di lavoro nel processo decisionale.
  • Piena conoscenza del modello di smartworking: Non si può implementare quello che non si conosce, e lo smartworking non fa eccezione; d’altronde la poca letteratura ed i casi duraturi di implementazione non sono ancora numerosi (anche se in crescita). La sperimentazione resta dunque una valida strada per acquisire a pieno tutte le sfumature che questo modello porta in termini di miglioramenti delle performance e di un nuovo stile di leadership fatto di valutazione dei risultati (e non sul controllo diretto) e concessione di fiducia ed autonomia decisionale ai dipendenti; capacità tutt’altro che semplice da acquisire e “metabolizzare”.

SMARTWORKER

Vediamo di seguito quali sono le caratteristiche che fanno di un lavoratore, uno smartworker:

  • Corretta gestione di tempo e spazio: In sintesi, buone capacità organizzative. Lavorare per obiettivi sfruttando la flessibilità di luogo e tempo di lavoro che lo smart working concede, richiede di essere in grado di pianificare i propri spostamenti in modo adeguato rispetto alle attività da svolgere e di saper scegliere quando lavorare da casa e quando l’interazione con il gruppo diventa fondamentale per raggiungere l’obiettivo. Come diciamo spesso, lo smartworking non deve essere confuso con il tele-lavoro, quindi la sede di lavoro può, anzi deve, essere dinamica.
  • Autoregolazione: Sebbene molti possono essere indotti a pensare che chi lavori da remoto, approfitti della situazione per ridurre il numero di ore impiegate (anche se questo non dovrebbe comunque essere indice di preoccupazione in una visione orientata all’obiettivo), è stato rilevato come lo smartworker sia portato a lavorare un numero maggiore superiore rispetto ai colleghi che svolgono la professione in modo tradizionale. Lo sviluppo del senso di responsabilità e la riduzione di agenti esterni che portano a distrazione (break-time alla macchinetta del caffè, interruzioni date da riunioni non programmate, ecc) possono infatti portare a ridurre la sensibilità ed il controllo sul tempo trascorso lavorando da remoto.  Per questo motivo è importante che il lavoratore acquisisca il senso di auto-regolazione che lo porti a rispettare il cosiddetto “work-life balance”, obiettivo base dello stesso smartworking. Questa skill necessita oltretutto dal supporto del manager e dei sindacati che riconoscendo e rispettando questo equilibrio aiutano il collaboratore a svolgere la sua professione garantendo le adeguate tutele.
  • Comunicazione: L’etimologia della parola stessa (dal latino cum ossia con, e munire ovvero legare, costruire) dovrebbe già ricordarci come questa capacità sia importante per qualunque modalità di erogazione della propria professione; a maggior ragione questo diventa fondamentale in ambito smartworking.
    Una comunicazione efficiente e continua, aiutata dagli strumenti digitali assicura sia al lavoratore che al proprio responsabile di essere sullo stesso cammino e riduce nel contempo il “desiderio di controllo” da parte del manager.
  • Competenze digitali: come più volte ribadito, un progetto di smartworking non può prescindere dall’uso di tecnologie a supporto della sicurezza e l’accessibilità dei dati in modo flessibile e da diversi device. Di conseguenza lo smartworker deve acquisire le competenze che permettano l’utilizzo efficace di tali strumenti. Questo non riguarda solamente l’uso dello specifico del software/strumento adottato dall’azienda per fare smartworking, quanto piuttosto lo sviluppo di quelle che vengono denominate Digital Soft Skills, ovvero competenze trasversali rispetto al profilo professionale di ciascuno che portano lo smartworker a ripensare procedure operative, processi e task attraverso la comunicazione collaborativa proprio abilitata dagli strumenti digitali.

In conclusione, fare smartworking non vuol dire solamente “da domani si lavora da casa”, ma significa intraprendere un percorso a lungo termine, fatto di fiducia reciproca e comunicazione continua che non porta ad un mero aumento di performance, ma ad una acquisizione di competenze che ci cambiano come persone ancora prima di cambiarci come professionisti.

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Giuseppe Arduino

Informatico per natura (e cognome), ingegnere per studio e commerciale per vocazione, aiuto le aziende a concentrarsi sul proprio business attraverso la filiera tecnologica Nextip e le soluzioni di smartworking dedicate al mondo dei contact center. Ogni settimana condivido risorse e webinar sul nostro canale Telegram: Nextip2010